The Conjuring2: filo sospeso tra reale e non reale.

The Conjuring2: filo sospeso tra reale e non reale.

Oggi vorrei raccontarvi un altro episodio tipico di media education; l’altra sera, in comunità, ci siamo visti un horror. The conjuring: il caso di Enfield.

Per ovvi motivi, molti ragazzi, soprattutto preadolescenti, percepiscono il film horror come una specie di trasgressione rispetto al fruire di canonico materiale audiovisivo. Due questioni mi portano a tale credenza: la fruizione dell’horror potrebbe indicare all’altro di possedere i giusti attributi per guardarlo? In secondo luogo, se si è in gruppo, bisogna mostrare veramente di resistere alle scene?

Siamo stati tutti ragazzi e adolescenti, ogni occasione è ottima per percepirsi capaci e – come diceva il buon Dewey – pronti per saggiare le nostre abilità sociali. Il film horror è, a mio avviso, una sfida che permette ai ragazzi di affrontare le avventure del piccolo schermo. Inoltre, credo che the conjuring sia l’horror meglio riuscito negli ultimi due lustri. Non ricordo ancora bene se, durante la mia vita, mi fossi veramente spaventato così tanto durante la visione di un film.

Ispirato al caso documentato giornalisticamente di Enfield, piccola comunità del Nord UK; la madre con quattro figli si trasferiscono in questa casetta dopo che il padre li ha abbandonati. La trama, in breve, narra le vicende inquietanti subite da questa simpatica famiglia monogenitoriale.

La famiglia Hodgson

Come accade spesso e volentieri, in questi casi, il fenomeno del paranormale viene subito da un membro della famiglia. Anche in questo caso accade alla figlioletta più piccola e, per ragioni ovvie non viene creduta.

Una ospite esclama cinicamente: «hai visto Ale? Solita cazzata da film!»; come dare torto… viste e riviste queste scene, ma non smettiamo di rimanere incollati sul divano. La trama si infittisce velocemente. Ad un certo punto colpo di scena. I fenomeni paranormali vengono affermati dalla madre, la quale in dei primi momenti, pregava le figlie di smettere di fare scherzi. Una fuga verso un rifugio sicuro: i vicini di casa.

Le scene cominciano a farsi interessanti e vengono intavolate altre questioni. Il film è stato un momento di dialogo e confronto non indifferente. Non prendiamoci in giro, ce la facevamo sotto dalla paura e avevamo bisogno in quel momento di confrontarci su degli aspetti irrilevanti e secondari rispetto alla trama.

Per dirla con Pier Cesare Rivoltella, abbiamo cominciato ad analizzare l’audiovisivo ad un livello processuale; abbiamo sviluppato una prospettiva di gruppo rispetto a determinate scene di film – quelle a carattere speciale – e ai significati.

Un ragazzo, mentre il film in un momento di ansioso climax che sarebbe arrivato da lì a poco, dichiara: «proprio brava ad interpretare quella bambina; sembra reale» «e sì, te pensa, ha la tua età, chissà quante esercitazioni avrà fatto» oppure «che camera diroccata, ma avete visto tutti quei poster?»

Una ospite, si accorge subito della molteplicità dei poster ed chiede: «è Elvis Presley? Sono i Beatles?». mentre la trama si intrecciava, noi scovavamo i minimi dettagli.

Durante l’infittirsi della storia, ad un certo punto, il caso diventa giornalistico e la bambina, protagonista e medium dello spirito che ci sta facendo tremare le gambe, viene intervistata dalla televisione locale, la quale, nell’immediato individua nella bambina l’artefice di tutti i fenomeni paranormali; insomma, non viene creduta.

Questo fa scatenare il logos dei ragazzi: «come non viene creduta? Sempre così, non veniamo creduti mai!, che nervoso oh! Mai veniamo creduti»….

Il film aveva mosso qualcosa… quante volte non venivamo creduti da piccoli? A volte ci dimentichiamo che siamo stati adolescenti; molte volte siamo stati fregati da un adulto che doveva rappresentarci e molte volte ci siamo sentiti incompresi; gli adulti hanno modalità comunicative inefficaci per approcciarsi con i ragazzi: potrebbero far sentire l’adolescente inadeguato; predicano morali su ciò che è bene e ciò che è male affermando con degli slogan o modi di dire. Personalmente e professionalmente non li ritengo modalità funzionali per comunicare con i nostri pargoli e ragazzi.

Quella scena aveva mosso qualcosa in loro, come se li riguardasse nel profondo della loro esistenza e diviene, casualmente, un nodo drammatico fondamentale che accompagnerà tutta l’analisi.

Non vorrei svelare il finale, non lo farò, ma per la riflessione è importante accennare che la bambina che viene posseduta dal demone malvagio non verrà creduta nemmeno dai medium spirituali e, quindi, un potenziale aiuto dalla Chiesa e dagli esorcisti non avrebbe potuto essere rilevante nello specifico caso.

Nelle ultime scene , ho percepito un’atmosfera di delusione da parte del gruppo. Solidarizzavano con la bambina e soprattutto con la frustrazione di non essere compresa da coloro che potevano aiutarla. Perché la bambina non doveva essere creduta? Entro nel merito con una piccola ricerca che ho compiuto successivamente per comprendere il motivo di ciò e vengo a conoscenza che già nei primi del ‘900 in Europa diversi autori contribuirono a radicare dello scetticismo riguardo la testimonianza dei bambini nei tribunali.

Secondo gli studi di Varendock e Stern, ad esempio, intenti a dimostrare l’inattendibilità delle testimonianze infantile in ambito giuridico, i bambini sono per natura dei cattivi osservatori, suggestionabili dalle figure adulte e inclini ad operare un eccesso di immaginazione così da non essere capaci di discernere la fantasia dalla realtà. Queste peculiarità tipiche dell’età infantile, aggiungono, sono fattori che determinerebbero la non veridicità delle loro narrazioni. Mi chiedo, ma nel 2021, questo dubbio è rimasto? l’ascolto sul minore è un tema che merita delle riflessioni approfondite e più specifiche? Esistono degli strumenti che attestino la veridicità o meno della narrazione? Come vengono strutturati i luoghi dove poter ricavare le informazioni da parte dei minori? come avviene la dinamica transazionale tra minore e l’operatore che opera nel rispetto del minore nelle istituzioni giuridiche?

Tornando al film, il finale è stato molto catartico. Tutto si risolve per il meglio ma, lascia tutti, prima di andare a dormire, con una questione aporetica: «tutto ciò è vero o non è vero?». Propongo una veloce ricerca per comprendere di più sulle dinamiche del caso Enfield. Il motivo della ricerca è stato significativo, perché ha permesso di restituire un’esperienza del film da parte di tutti ponendo in risalto anche il carattere ironico e grottesco del caso di Enfield. Quindi, una volta visto le foto che attestavano queste vicende, aver lavorato sul singolo caso, sulla bravura del regista, sulle competenze solide di quegli attori; siamo giunti alla conclusione che guardare un horror alla sera è sempre una scelta azzardata, soprattutto se si dorme in camera da soli!

Condividi questo post